Marianne PADE

LESSICO POLITICO EUROPEO: DAL LATINO ALLA LINGUA VOLGARE

Fino alla metà del Quattrocento, Europa era soltanto la denominazione geografica di uno dei tre continenti conosciuti, insieme ad Africa e Asia. Sotto la crescente minaccia dei turchi ottomanni, che stavano occupando quel che restava dell’impero bizantino e iniziavano a muoversi, ancora di più, verso occidente, per la prima volta essere europei si connetté con l’identità, con un complesso di norme culturali, politiche e religiose.

Questa costruzione identitaria avveniva in un momento in cui in tutta l’Europa occidentale il latino era la lingua predominante in ambito letterario, scientifico e politico; pertanto essa fu originariamente formulata in latino, il cosiddetto neolatino (nel significato del latino postmedioevale), che si era sviluppato a partire dalla fine del Trecento, e che era una consapevole rinascita delle norme linguistiche del latino antico, senza tuttavia essere una imitazione prigioniera del modello a cui si rifaceva. Il neolatino era il mezzo linguistico preferito dall’Umanesimo rinascimentale, perché tutti i programmi di questo Umanesimo – che abbracciano lingua, letteratura, arte, pensiero politico e pensiero morale, scienza e così via, e che in molti casi arrivarono ad influenzare in modo decisivo i periodi seguenti – si svilupparono in principio in un contesto latino.  Nell’ambito della mera storia delle scienze umanistiche il ruolo che questo periodo ebbe non è tuttavia approfondito accuratamente. Una delle ragioni di questa scarsa conoscenza dipende dal fatto che i moderni studiosi per lo più non conoscono sufficientemente bene il latino. In più l’importante metadiscorso sui programmi e sulle affermazioni teoriche dell’Umanesimo rinascimentale è spesso formulato in contesti inattesi per un lettore moderno, ad esempio in paratesti ed epitesti. Per ultimo, ma non per questo di minore importanza, la letteratura neolatina non è stata intesa e studiata come nostro patrimonio comune alla stessa stregua della letteratura classica, e lo studio di essa non è stato promosso da una specifica istituzione al contrario di quanto avvenuto con il latino medievale, il cui studio è stato favorito dalla chiesa cattolica.

Un esempio di come la ricerca moderna abbia ”trascurato” una tendenza che si ebbe con il neolatino, riguarda lo studio delle traduzioni, una delle discipline umanistiche la consapevolezza del cui significato sta crescendo enormemente in questi anni. I comuni compendi sulla storia della disciplina saltano per lo più da San Girolamo, nel quinto secolo, a Étienne Dolet nel sedicesimo, e il piccolo trattato francese di quest’ultimo viene indicato come la prima opera moderna sulla traduzione. Però il trattato di Dolet altro non è che una traduzione abbreviata e leggermente adattata di quello di Leonardo Bruni, De interpretatione recta, del  1420 c., uno scritto che fa parte di un vivace dialogo sulla traduzione che si svolge esclusivamente in latino. I moderni teorici della traduzione asseriscono anche che il verbo usato nelle lingue romanze con il significato di ”tradurre”, ”traduire” ecc. deriva dal latino ”traducere”, dimendicando che l’estensione semantica di questo verbo, il cui significato originario era semplicemente di ”portare oltre” e simili, è dovuta ad una consapevole espressione metaforica dello stesso Bruni, risalente al 1403 ca.

Oggi c’è uno specifico complesso di norme che regolano la vita sociale, evidenziate come fondamentali per l’identità politica europea: quelle democratiche. La parola democrazia deriva, come si sa, dal greco e non si trova un diretto equivalente nel latino classico. Il concetto era conosciuto nel tardo medioevo da Aristotele, il cui atteggiamento verso il governo del popolo come forma politica era critico. Nel corso del Quattrocento, invece, nell’Occidente latino si entrò in contatto con un’ampio numero di altri testi greci dove la democrazia è descritta in modo neutrale o addirittura positivamente. Nel mio intervento esaminerò quale influsso autori come Erodoto, Tucidide, Demostene e Polibio, con le loro differenziate visioni sulla democrazia, ebbero sul pensiero politico dell’Umanesimo latino del Quattrocento. Autori come Leonardo Bruni, Lorenzo Valla e Niccolò Perotti svilupparono un nuovo lessico al riguardo per restituire il complesso delle nuove norme sociali con cui vennero a confrontarsi nei testi greci. Lo usarono anche per descrivere il contesto politico a loro contemporaneo, a volte pure nel tentativo di influenzarne lo svolgimento. Dalla loro ampia produzione di traduzioni e di opere originali questo lessico passò alle lingue volgari. Un esempio appropriato è l’uso della parola repubblica per indicare una forma di governo non-monarchica. La ricerca moderna ascrive a Machiavelli questa nuova formazione lessicale, in italiano; ma essa si trova, di fatto, già negli anni ’30 del Quattrocento, in latino.